Skip to main content

Stanze sul mare.

Un blog di psicoanalisi e arte

Enea di Pietro Castellitto

Fotogramma dal film "Enea" di P. Castellitto

“Centrale è il vuoto”

Generazioni che convivono, invisibili l’una all’altra in una Roma nord simile alla grande bellezza di Sorrentino, ma più giovane, non per questo meno patetica, dove i giorni sono scanditi da festini, cieli e spiagge (di Renato Zero).

Una famiglia, il cui padre “spaccia psicoanalisi”, la cui madre “spaccia libri” in Tv, un fratello sedicenne che fuma ma dorme nel lettone cercando la sua strada in una prestigiosa scuola secondaria con la consapevolezza che “i voti sono la droga che ci danno per non avere opinioni”.

Enea è il primogenito, un (anti) eroe trentenne che spaccia cocaina ma si sente a posto, in diritto di farlo perché è un modo per mantenere il tenore di vita assicuratogli dalla generazione dei suoi genitori che, partiti da zero, hanno raggiunto il benessere economico. Una testimonianza che si traduce in godimento sadiano più che in motivazione e pulsione di vita.

Come afferma Massimo Recalcati in una breve sintesi dei fondamenti della clinica del vuoto “[…]il libertinismo sadiano sostiene una volontà di godimento illimitata. Questo significa elevare il godere al livello del dovere […] un godimento dissipativo e senza limiti”.

Di benessere c’è poco in questo film, tanto il malessere: “Sta cazzo di depressione fa un sacco di vittime”, dice ad Enea il boss che lo fa entrare nel giro, 300 kg. con il 5%, o forse il 7% di guadagno.

Lo stesso che gli dà lezioni di vita: “Per diventare vecchi ci vuole solo l’amore”, “La vita dura finché sei giovane, poi inizia un’altra cosa”.

Quelle lezioni che il padre psicoanalista fatica a dare ai propri figli, ma riesce a dare bene ai pazienti.

Si guardano ma non si vedono, i padri con i figli, i mariti con le mogli, i giovani con gli adulti.

Con lo sfondo di una Roma magica che diventa cannibale come una madre coccodrillo: “Ci sta una bocca sopra questa città che è pronta a mangiarci tutti e se non ci facciamo amicizia ci sputa come uvetta”.

C’è famiglia, amicizia ed amore ma con ombre melanconiche che non permettono di intravedere traccia di desiderio ma giorni che si susseguono alla ricerca di leggerezza o di un senso per i quali non vi è stata testimonianza prima, o se vi è stata non è stata colta.

Solo vecchie fotografie non bastano per dare testimonianza.

“Le persone attraenti non dovrebbero morire mai”, “Le ragazze belle rendono la vita leggera come un treno di nuvole”, la bellezza è cercata nel Tevere Country Club con la consapevolezza che è altrove, ma lo sguardo anziché all’orizzonte si ferma troppo vicino, in un qui ed ora epidermicamente fastidioso o oniricamente meraviglioso nelle immagini, nei riflessi, nelle luci.

Immagini dall’alto di un drone o così vicine da sentirne gli odori.

Si critica la generazione dei genitori ma non si è disposti a rinunciare a quanto ci hanno abituato con la differenza che “Io sono partito povero, tu no”.

Ma il partire povero non è garanzia di nulla, come non lo è partire ricco perché l’insostenibilità delle vite non risparmia nessuno, di qualsiasi età od estrazione, solo l’amore conta, qualcuno che continui a baciarti, mantenere il bacio.

Nessun personaggio riesce a risultare antipatico, Enea per primo, in tutti si scorge qualcosa di buono, dei tentativi per non affogare, per non essere già morti da vivi, per sopravvivere al proprio passato o ad un presente immaginario e vorace.

La nostalgia non è per i luoghi ma per le persone amate, in passato, che magari ci sono anche oggi ma che l’abitudine ha reso meno visibili.

Ma quando Enea ci prova il passato chiede il conto come in una danza nefasta, e chi ci ha provato in passato scopre che forse non è poi tutto così male, qualcosa si può salvare di queste “Maledette primavere” e di queste “Spiagge già vissute amate e poi perdute in questa azzurrità.”

Un film contemporaneo, introspettivo ma sociale che lascia l’amaro in bocca ma un amaro che non chiude, bensì apre alla riflessione, che ci chiede di partecipare ai fallimenti, non di ignorarli e gli occhi ci invita ad aprirli anziché chiuderli per scorgere anche le piccole bellezze.

Bibliografia:

Recalcati, M., (a cura di) Il soggetto vuoto. Clinica psicoanalitica delle nuove forme del sintomo, Ed.Erickson, Trento, 2021