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Opere di desiderio. Due donne all'avanguardia. La valorizzazione dell'arte del '900 in Italia ad opera di due straordinarie figure femminili

Palma Bucarelli e Irene Brin
Palma Bucarelli e Irene Brin

“L'arte non significa nulla se si limita a decorare la tavola del potere che la tiene in ostaggio”.
Adrienne Rich

Il novecento fu indubbiamente un'epoca di profondi stravolgimenti, un'epoca memorabile e al contempo dolorosa in cui il fuoco dell'arte seppe bruciare intensamente la sua fiamma ardente, aprendo varchi inaspettati agli enigmi dell’esistenza.

Fu il secolo che vide la nascita di personalità inedite e pulsanti, prevalentemente declinate al maschile e dal talento inconsapevolmente eterno. Scrittori, pittori, scultori e poeti eccellenti i cui nomi sono impressi nel grande libro della Storia, trovarono in questo secolo lo slancio per dare forma alla loro forza e rappresentarono per i posteri una fulgida testimonianza delle feconde trasformazioni di umani moti pulsionali. Mentre infatti Thanatos spargeva aridità e spavento attraverso le due grandi guerre, Eros lavorava incessantemente per tessere legami, ricostruire umana civiltà attraverso opere scritte, dipinte o raccontate.

Quel secolo assistette anche all'ingovernabile gemmazione di menti sagaci e intuitive, declinate al femminile, dotate anch'esse di una vocazione inossidabile e capaci di cavalcare con grazia e determinazione i resti di un'epoca vittoriana poco generosa verso la libertà e l'unicità propria dell'universo femminile.

Tra queste donne in particolare due si distinsero per aver scardinato, con ciò che seppero fare delle loro vite, le vedute di un paese paralizzato tra due conflitti mondiali e da politiche conservatrici, sordo nel riconoscere il vento di cambiamento insito nella bellezza perturbante dei movimenti artistici moderni.

Insieme, anche se in spazi e modi differenti, seppero accogliere e valorizzare lo spirito creativo del tempo durante e dopo il secondo devastante conflitto, facendo proprio il pensiero di Susan Sontag secondo cui “la sola azione interessante in una vita è il miracolo o tentativo fallito di compierlo; il miracolo è l’unico tema di profondo interesse che resta all’arte”.

Così, in contemporanea a Simone De Beauvoir a Parigi e Peggy Guggenheim a Venezia le donne a cui faccio riferimento contribuirono, attraverso la loro sensibilità e intelligenza, a riconoscere nell'arte il fulcro di una ripresa vitale e virtuosa contro la ripetizione mortifera della guerra.

La prima donna, Palma Bucarelli, è indissolubilmente legata alla prima direzione femminile di un museo pubblico italiano, la galleria d'arte moderna e contemporanea di Roma, di cui fu alla guida dal 1941 al 1975. Alla sua figura quasi mitologica sono legati eventi reali, aneddoti, eccentricità che ne fanno una delle protagoniste indiscusse e più indipendenti del panorama culturale internazionale. A lei si deve l'acquisto di opere di rilevanza assoluta, come "Il gran sacco" di Alberto Burri o la "Merda d'artista" di Pietro Manzoni che all'epoca le valsero le interrogazioni parlamentari da parte di una politica ottusa ai richiami e al valore inedito delle avanguardie. Palma Bucarelli difese con sagacia ed eleganza il suo operato di fronte alle accuse di un governo miope e dotato di pensiero unico, arrivando a costituire una collezione permanente di valore inestimabile.

Grazie a lei il nostro paese conobbe per la prima volta dal vivo l'anticonformismo delle opere di Pollock e l'astrattismo geometrico di Kandinskij.

A lei si deve anche il salvataggio di centinaia di opere dai saccheggi che i patriarchi nazisti erano soliti perpetrare del patrimonio artistico dei territori occupati. Insieme a collaboratori fidati, infatti, trasportò segretamente le opere ritenute più importanti dal museo a palazzo Farnese di Caprarola prima e a Castel Sant'Angelo di proprietà del Vaticano poi.

La sua abilità di creare legami con le diverse realtà culturali internazionali, la sua caparbietà nell'aprire il museo alla città, la sua indipendenza dal sistema e il suo intuito nel riconoscere il talento, ne fanno un modello di donna estremamente contemporaneo, così come l'arte di cui amava circondarsi.

E all'interno dello stesso museo, in cui Palma Bucarelli visse fino alla fine dei suoi giorni, sono custoditi gli archivi che raccontano delle imprese della seconda donna, Irene Brin. Anch'essa fu sublime indagatrice della bellezza, non nella sua effimera manifestazione, ma come espressione dei costumi sociali e della cultura della sua epoca, di cui scrisse con sarcasmo ed ironia nelle riviste e nei giornali per cui lavorò. Registrata all'anagrafe come Maria Vittoria Rossi, fu la prima giornalista donna italiana. Si narra che Pirandello si complimentò con lei quando, alla giovane età di vent’anni, pubblicò il primo articolo sul quotidiano "Il lavoro" di Genova. Fu anche la prima che sfruttò sagacemente il tono leggero dei rotocalchi non solo per raccontare le mode e i vizi di un'epoca, ma anche per criticare, lei sposata ad un militare avverso al regime, le efferate politiche fasciste, finché negli anni ‘40 fu Mussolini in persona a chiudere la rivista “Omnibus” fondata da Leo Longanesi e per la quale Irene Brin scriveva.

Ma Irene Brin fu anche un volano straordinario per la ripresa economica del nostro paese. Grazie alle sue prodezze di scrittrice e la sua cultura cosmopolita, divenne infatti per alcuni anni responsabile di “Harper Bazaar Italia” influenzando il mercato della moda prima e dell'arte poi, favorendo l'esportazione del Made in Italy e sostenendo così concretamente l'imprenditoria italiana che si affacciava ai mercati internazionali dopo il secondo conflitto mondiale. Donna camaleontica e poliedrica si dedicò alla passione per l'arte, tramandata dalla madre ma anche trasmessa dal marito Gaspare del Corso, mentre, lavorando in tempi bui in una bottega di oggetti preziosi, scoprì la sua innata abilità nel saper abitare quel mondo.

Da lì iniziò la sua straordinaria avventura che la portò ad aprire insieme al marito la storica galleria d'arte l'“Obelisco” al numero 146 di via Sistina a Roma, punto di riferimento per i giovani artisti italiani in attesa di essere riconosciuti per il loro talento come De Chirico e Morandi. Ad inaugurarla fu proprio nel 1946 una grande mostra di Giorgio Morandi, a cui seguirono le esposizioni di artisti di maggiore o minore fama nazionale ed internazionale. Irene Brin e il marito furono i primi ad importare Toulouse Lautrec e ad esporre in Italia le opere di Magritte e Dalì.

La sua propensione a saper raccontare i moti non solo modaioli ma anche culturali del suo tempo, le valse il riconoscimento e l'amicizia di giornalisti come Indro Montanelli. La sua straordinaria conoscenza delle lingue straniere, anche grazie ai numerosi viaggi intrapresi, le permise di acquisire non solo una certa fama come traduttrice, ma anche una plasticità di pensiero invidiabile a qualsiasi rappresentante del sesso forte che all'epoca detenesse il titolo di intellettuale.

“La posizione eccentrica delle donne, l'anomalia che esse incarnano, la dissidenza che naturalmente manifestano per il pensiero unico hanno una portata decisamente politica”, scrive Francesco Stoppa riconoscendo la portata del cambiamento che le donne sono in grado di determinare.

Così accadde che il secolo passato fu reso fecondo non solo da nerboruti ingegni, ma anche da un animus femminile ardito, la cui baldanza generativa si espresse in una forma di maternità lontana dal focolare domestico e dotata di un fulgore e di una scia che è arrivata ad illuminare il tempo presente.

Bibliografia

Ferrario, Rachele, Regina di quadri, ed. Mondadori, Milano, 2010

Fusani, Claudia, Mille Mariù, ed. Castelvecchi, Roma, 2012

Sontag, Susan, Odio sentirmi una vittima, ed. Il Saggiatore, Milano, 2016

Stoppa, Francesco, La costola perduta, ed. Vita e pensiero, Milano, 2017