Ritratti di uomini e ritratti di cose
Uno degli aspetti forse meno conosciuti del mio lavoro è quello legato alla ritrattistica. Inizialmente, dopo essermi dedicato per un periodo al genere del paesaggio, è proprio con il ritratto che mi sono affacciato al mondo dell’arte. Ho sempre amato la grande ritrattistica classica, fin da giovanissimo, quando andavo nei musei ad ammirare e studiare i capolavori dei maestri del rinascimento e del barocco, cercando di comprenderne i segreti, di capire come ottenevano quegli effetti di luce e come riuscivano a rendere così vive le espressioni dei volti, così reali quegli incarnati.
Dopo aver frequentato l’Accademia di Brera, non del tutto soddisfatto, ero alla ricerca di una figura che mi potesse portare a una formazione tecnica davvero rigorosa, inappuntabile; ebbi l’opportunità, la fortuna, di trovarla in Mario Donizetti, uno dei più rinomati ritrattisti italiani. La frequentazione del suo studio fu un momento esaltante nella mia vita e, credo, decisivo per definire il mondo che successivamente avrebbe caratterizzato la mia attività artistica: quello della natura morta. Lo studio, la frequentazione, l’amore per il ritratto e per la pittura di persone si è trasformato in pittura di cose; i due aspetti, nel tempo, si sono indissolubilmente legati.
Quando dipingo un oggetto, seppure apparentemente inanimato, il mio approccio è sempre quello di interpretarlo come se fosse vivo, come se fosse una persona in carne e ossa, con la sua anima, il suo carattere. Ho il desiderio di scavare oltre la superficie per rivelare la sua essenza, il suo aspetto più intimo. Amo più di tutti i soggetti singoli, solitari, mi piace metterli in posa come fossero modelli, cercando di evidenziare il loro lato migliore sotto la luce più adatta. In una ricerca di equilibrio tra il soggetto e lo sfondo, pieni e vuoti. In altri casi i soggetti possono essere doppi, multipli, come personaggi su una scena, su un palcoscenico: ritratti di amanti, amici, coniugi o compagni nell’atto di avvicinarsi, guardarsi, baciarsi, scontrarsi e respingersi. Oppure come ritratti di gruppo, ritratti di famiglia, in cui il dialogo tra i protagonisti diventa più complesso e sottile.
L’adesione fedele, precisa al dato reale – aspetto che indubbiamente mi interessa e contraddistingue il mio lavoro – non esclude la volontà di far trasparire un ché di ironico e surreale all’immagine che voglio costruire e in cui alcuni elementi possono trasformarsi in qualcosa di diverso da ciò che appaiono a un primo sguardo: foglie che diventano capigliatura, chioma o copricapo. Rami come braccia, imperfezioni come segni del tempo sulla pelle e così via.
Di fatto il lavoro stesso diventa per me una ricerca di armonia, di un equilibrio. Pittura come cura, come terapia, forse antidoto alle inquietudini e alle paure del vivere di oggi. C’è indubbiamente un lato malinconico, nostalgico in me che si trasferisce in ciò che dipingo. Ma più che un rifiuto del contemporaneo, di una visione passatista dell’arte e del mondo, credo si tratti del desiderio di collocare la raffigurazione in un non ben definito momento storico, la volontà di non caratterizzarla in modo preciso, con elementi propri del nostro tempo ma nemmeno del passato. Un’immagine sospesa, fluttuante, silenziosa. In alcuni casi astratta.